Medicina e rivoluzione. Riflessioni sulla vita di Norman Bethune (di Enrique Ubieta Gómez – Brigata medica cubana “Henry Reeve”)

Grazie alla disponibilità dell’ambasciata cubana e dei medici che, dall’isola, furono pronti ad accorrere in Italia nei momenti più duri della pandemia da Covid-19, abbiamo avuto la possibilità – e il grande onore – di aprire la pubblicazione del volume IL BISTURI E LA SPADA. La storia di Norman Bethune con una preziosa introduzione scritta da Enrique Ubieta Gómez della brigata medica cubana “Henry Reeve”.

 

Anticipiamo, di seguito, lo scritto di Gómez, significativamente intitolato Medicina e rivoluzione. Riflessioni sulla vita di Norman Bethune:

 

 

 

 

Questo libro racconta la vita di un uomo, di un medico, di un umanista. Cosa lo rende diverso dagli altri medici beatificati? In Venezuela se ne venera uno che è vissuto all’inizio del XX secolo. Era un uomo nobile, quando il paziente non aveva risorse lo riceveva gratuitamente e gli comprava le medicine. La Chiesa cattolica lo ha beatificato e forse lo dichiarerà ufficialmente santo nel prossimo futuro. Per farlo, bisogna che la Chiesa gli riconosca, post mortem, tre miracoli da defunto. Il suo nome è José Gregorio Hernández (1864-1919) e, nel cortile del Santuario del Bambino Gesù di Isnotú, Stato di Trujillo, c’è un piccolo recinto con una sua statua e decine di targhe che testimoniano i suoi “interventi divini”. Il popolo lo considera già “santo”, gli chiede e assiste ai suoi miracoli. «Non ha mai smesso di rispondere dall’aldilà alla chiamata dei sofferenti, l’unico santo in giacca e cravatta che sia mai stato al mondo»,1 ha scritto Eduardo Galeano, non senza ironia. 

Ma il protagonista di questo libro appartiene a un’altra stirpe: quella dei medici rivoluzionari. Ernesto Che Guevara, medico argentino-cubano e guerrigliero, il 19 agosto 1961 spiegò agli studenti di medicina cubani: 

Avevo viaggiato molto – mi trovavo allora in Guatemala, il Guatemala di Arbenz – e avevo cominciato a prendere degli appunti per definire la condotta del medico rivoluzionario. Ho iniziato a ragionare su ciò che era necessario per essere un medico rivoluzionario. Poi ho capito una cosa fondamentale: per essere un medico rivoluzionario, la prima cosa di cui hai bisogno è la rivoluzione. Lo sforzo isolato, lo sforzo individuale, la purezza degli ideali, il desiderio di sacrificare una vita intera al più nobile degli ideali, è inutile se quello sforzo è fatto da soli, in qualche angolo dell’America, combattendo contro governi avversi e condizioni sociali che non permettono il progresso.2

Durante la guerriglia nella Sierra Maestra, il comandante del II Fronte, il dottor José Ramón Machado Ventura (1930 – vivente), ricevette l’incarico di organizzare i servizi medici. All’inizio, nella Sierra, c’erano solo tre medici e non c’era una zona senza attacchi e incursioni nemiche. Però nel II Fronte sono riusciti a espandersi. Machado Ventura ricorda:  

Ho potuto avere più risorse, ho creato un intero sistema, ho costruito un’organizzazione. Sono arrivato ad avere qualcosa come tredici o quattordici ospedali, alcuni ho dovuto spostarli da un posto all’altro, sono stati due mesi qui e tre mesi là. Verso la fine della guerra ho dovuto posizionarli più vicini alle zone di combattimento, perché noi avanzavamo e il fronte si consolidava, invece alcuni ospedali restavano molto lontani. Lì sì che c’era un’organizzazione! Avevamo infermiere, laboratori, impianti elettrici.3

Era necessario centralizzare le decisioni. Le medicine e il personale medico che si univa alla guerriglia furono ridistribuiti secondo le necessità. Gli ospedali da campo assistevano e operavano i feriti di guerra, naturalmente, ma soprattutto i contadini della zona, che non avevano mai ricevuto assistenza medica. Machado Ventura fu nominato ministro della Salute Pubblica dopo il trionfo della Rivoluzione. E, con orgoglio, mi ha raccontato:

I contadini dicevano: «Quando la guerra sarà finita ve ne andrete…»; e io ripetevo loro: «Vedrete che non sarà così». E, cavolo, sono stato contento che in tutti quei posti siano stati costruiti degli ospedali! È per questo che la Rivoluzione è quello che è, perché il popolo ha visto che le cose sono state realizzate, che ciò che è stato detto è stato fatto.4

Devo aggiungere che i medici cubani furono presenti durante le guerre di liberazione di molti paesi africani negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo (Congo, Guinea Bissau, Etiopia, Angola, Mozambico) non solo per curare le ferite di guerra, ma anche e soprattutto per assistere la popolazione civile. Un’autentica Rivoluzione come quella cubana doveva espandere il suo spirito di solidarietà in ogni angolo del mondo.

 

Ma la vita del medico canadese Norman Bethune (1890-1939), a cui questo libro è dedicato, traccia il primo solco. La sua partecipazione come medico volontario alla guerra civile spagnola, nelle file dei repubblicani – più di mille cubani, tra l’altro, hanno combattuto in difesa della Repubblica – e, più tardi, come medico dell’Esercito Popolare di Liberazione diretto da Mao Tse-tung, gli dà un posto speciale nella storia dell’internazionalismo. Un film non molto noto, con Donald Sutherland,5 racconta alcuni episodi della sua vita, ma il lettore troverà i dettagli più fedeli in questo libro. Nessun ricordo della sua eredità sarà più accurato e profondo di quello che Mao, il grande timoniere della rivoluzione cinese, ha scritto in occasione della sua morte prematura:

 

 

 

Quale spirito spinge uno straniero a dedicarsi senza alcun motivo personale alla causa della liberazione del popolo cinese come alla propria? Lo spirito dell’internazionalismo, lo spirito del comunismo, che tutti i comunisti cinesi devono assimilare. Il leninismo insegna che la rivoluzione mondiale può trionfare solo se il proletariato dei paesi capitalisti appoggia la lotta di liberazione dei popoli delle colonie e delle semicolonie, e se il proletariato delle colonie e semicolonie appoggia la lotta di liberazione del proletariato dei paesi capitalisti. […] Lo spirito del compagno Bethune, di totale dedizione agli altri senza la minima preoccupazione per sé stesso, si esprimeva nel suo infinito senso di responsabilità nel suo lavoro e nel suo infinito affetto per i suoi compagni e il popolo. Ogni comunista deve seguire il suo esempio.6

Vorrei aggiungere che la pratica dell’internazionalismo lascia in eredità importanti lezioni al movimento rivoluzionario. In particolare la “medicina solidale”, che apre vie insospettate alla comprensione della società che deve essere trasformata.

Negli anni Cinquanta, il grande rivoluzionario, medico e pensatore della Martinica, Frantz Fanon (1925-1961), fu membro della guerriglia algerina del Fronte di Liberazione Nazionale e da questa esperienza trasse importanti conclusioni antropologiche e culturali:

La situazione coloniale è modellata in modo tale da costringere il colonizzato a giudicare in modo negativo e senza sfumature tutto ciò che viene dal colonizzatore. Il colonizzato vede il medico, l’ingegnere, l’insegnante, il poliziotto e la guardia rurale allo stesso modo. […] I metodi tradizionali di cura si sovrappongono alla medicina moderna. Due rimedi valgono più di uno. Il colonizzato percepisce confusamente che la penicillina è più efficace, ma per ragioni politiche, psicologiche e sociali (il guaritore svolge un ruolo e ha bisogno di vivere) è costretto a ricorrere anche alla medicina tradizionale.7

Nelle sue utili riflessioni, Frantz Fanon, basandosi sulla sua esperienza di dirigente di quella rivoluzione, ha evidenziato il rifiuto storico degli abitanti dei villaggi nei confronti dei medici del suo paese, che vedevano come «ambasciatori dell’occupante». Come hanno fatto questi medici ad essere accettati?

Scrive Fanon: «Dormendo per terra con gli uomini e le donne del Mechtas, vivendo il dramma del popolo, il medico algerino diventa un frammento di carne algerina».8

Queste parole, ricontestualizzate, possono essere applicate ai medici cubani, anch’essi formati nella difficile e bella vita quotidiana di una Rivoluzione. 

Le istruzioni di Fidel Castro ai medici e agli infermieri cubani che partirono negli anni Novanta verso altre terre – nonostante gli atteggiamenti vergognosi degli ex militanti che confusero la caduta del “campo socialista” con la fine delle “utopie” che prefiguravano la giustizia sociale – furono precise: non interferire nella politica interna di quei paesi, non fare proselitismo sui successi del socialismo, collaborare con le autorità locali, sia politiche che religiose, rispettare le tradizioni culturali e religiose di quei popoli, curare sia i ricchi che i poveri… Perché, allora, la presenza di quelle brigate mediche è stata considerata “sovversiva” da alcuni Ordini o Collegi medici?

Perché sovversive sono senza dubbio la volontà di dare senza profitto e la disponibilità a operare in zone marginali o lontane dai centri urbani. I medici e le infermiere cubane – che in questo modo rendono omaggio al dottor Norman Bethune – non mostrano alcuna retaggio classista: trattano i pazienti più umili come amici o vicini di casa, si siedono alla loro tavola, condividono con loro il cibo, portano insieme l’acqua, li toccano… Abbattono le barriere di classe, come chiedeva Fanon, perché non sono stati educati ad appartenere a una classe superiore. Niente potrebbe essere più sovversivo.  

A differenza del dottor Bethune, i medici e gli infermieri cubani che hanno formato volontariamente 57 brigate del Contingente Henry Reeve per combattere la pandemia da Covid-19 in quaranta paesi delle Americhe e dei Caraibi, del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Europa (anche in Italia, nelle regioni Lombardia e Piemonte) non sono soli. Dietro di loro c’è uno Stato rivoluzionario che incoraggia e organizza la solidarietà, una rivoluzione viva, come chiedeva Che Guevara. Una rivoluzione che ha trasformato un paese di seimila medici formati per il servizio privato in un paese di 95.000 medici – 9 ogni 1000 abitanti, un rapporto pro capite tra i più alti al mondo – formati per la solidarietà.

Questo era il sogno del dottor Norman Bethune. 

Enrique Ubieta Gómez

Giornalista e scrittore cubano, membro della Brigata Henry Reeve

NOTE

1: Edoardo Galeano, La memoria del fuoco III. Il secolo del vento, Sansoni Editore, Firenze, 1991.

2: Cit. in Adys Cupull e Froilán González, Ernesto Che Guevara, Newton Compton, Roma, 2004.

3: Enrique Ubieta Gómez, José Ramón Machado Ventura: “La Rivoluzione è quello che è, perché ciò che è stato detto è stato fatto” (intervista a José Ramón Machado Ventura – Parte II), inedita, 2021.

4: Ibidem.

5: Bethune: The Making of a Hero, di Philip Borsos, con Donald Sutherland, Helen Mirren e Helen Shaver, scritto da Ted Allan (Cina – Canada, 1990).

6: Mao Tse-tung, In memoria di Norman Bethune, in Id., Opere, vol. VII, Edizioni Rapporti Sociali, Milano, 1992.

7: Frantz Fanon, Sociologia di una rivoluzione, in Id., Opere scelte, vol. I, Einaudi, Torino, 1973.

8: Ibidem.

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