Iside Gjergji, “In Argentina è nato il nuovo movimento femminista. Ne ho parlato con la leader Andrea D’Atri”, Ilfattoquotidiano.it
Chi conosce la storia delle lotte sociali sa che, in ogni singola battaglia, le donne sono sempre state in prima fila: dalle agitazioni per il prezzo del pane o un salario migliore fino alle battaglie sotto le finestre di Versailles, del Palazzo d’Inverno o di Piazza Tahrir. Furie, sanguinarie, streghe sono alcuni degli epiteti coi quali le hanno soprannominate i reazionari nel corso dei secoli, ma l’eco delle lotte continua a tormentare le loro notti, ancora oggi. Lo sa bene Donald Trump che, neanche 24 ore dopo l’insediamento alla Casa Bianca, sentì il ritmo della loro marcia sotto le sue finestre (Women’s March). Non dorme sereno neanche Jair Bolsonaro: l’onda d’urto del movimento #EleNão (Lui No) la sente ancora forte. Trema in questi giorni anche Abdelazis Bouteflika: le donne che protestano contro di lui nelle strade sono numerose.
Sono le donne, dunque, a portare avanti la più importante opposizione alle destre in ascesa in tutto il mondo. Di fronte all’internazionale dei sovranismi si erge una sola forza internazionale che lotta: il movimento femminista mondiale, il quale, unito nella piattaforma “Non una di meno” – che dà voce a diverse anime del femminismo – ha proclamato per la giornata dell’8 marzo lo sciopero globale. È il terzo anno consecutivo.
“Non una di meno” (Ni una menos) nasce in Argentina, nel 2015, come risposta alla violenza sessista, ai femminicidi e alle disuguaglianze crescenti. In breve tempo, come un terremoto, si è espanso in decine di Paesi. Anche in Italia, il movimento è attivo e aderisce allo sciopero.
Per capire cosa accade in Argentina e come il movimento sta affrontando questa ennesima giornata di lotta, ho rivolto alcune domande ad Andrea Iris D’Atri, femminista rivoluzionaria e fondatrice della corrente “Pan y Rosas” nonché autrice di diversi libri (tra i quali si segnala Il pane e le rose. Femminismo e lotta di classe, tradotto in molte lingue), la quale ha partecipato di recente a numerosi incontri in diverse città europee (Roma, Parigi, Berlino, Madrid, ecc.).
Le ho chiesto, in primo luogo, come il movimento argentino si stava preparando per lo sciopero dell’8 marzo e la sua risposta non ha nascosto le difficoltà: “In Argentina, tutti i collettivi e gruppi di donne riuniti nell’Assemblea ‘Ni Una Menos’ hanno chiesto ai sindacati di proclamare una giornata di sciopero. Le donne possono proclamare lo sciopero, ma se i sindacati non aderiscono diventa impossibile per milioni di lavoratori e lavoratrici assentarsi dal lavoro. Per ora, sono pochi i sindacati che hanno aderito, con l’eccezione dei sindacati degli insegnanti. Stiamo spingendo in molti luoghi di lavoro affinché le assemblee di base decidano di fermarsi”.
Anche in Italia, del resto, sono pochi i sindacati che hanno aderito allo sciopero femminista internazionale (Cub, Si-Cobas, Cobas del lavoro privato, Usb, Sgb e Confederazioni di base). Totalmente disinteressati risultano i Confederali (Cgil, Cisl e Uil), tra cui la Cgil, bontà sua, lascerà correre se alcuni suoi temerari iscritti parteciperanno allo sciopero tramite adesione delle proprie realtà locali. Eppure, la condizione lavorativa e salariale delle donne peggiora di giorno in giorno.
Ma, allo stesso tempo, le grandi mobilitazioni, i media che amplificano queste idee, rendendo noti esempi straordinari di donne che fermano le attività sui posti di lavoro, sono importanti. Penso anche che non dobbiamo preoccuparci dell’aspetto ‘rituale’, che potrebbe comunque assumere in alcuni settori, ma piuttosto dobbiamo provare a dispiegare le enormi potenzialità che l’idea dello sciopero ancora contiene, specie se si considera che ormai le donne costituiscono quasi il 50% della classe lavoratrice mondiale. Per quanto la burocrazia sindacale volga le spalle alle nostre richieste, noi donne siamo la metà di quel ‘proletariato’ che fino a poco tempo fa era rappresentato con immagini di uomini muscolosi. E noi siamo le più precarie e sfruttate all’interno di questa classe potente. Ecco perché l’idea di uno sciopero in questa nuova ondata di femminismo è molto promettente”.