Alessia Arcolacci, “Giulia Ananìa: L’amore, il nostro meraviglioso accollo”, Vanity Fair, 22 novembre 2020
Alessia Arcolacci, “Giulia Ananìa: L’amore, il nostro meraviglioso accollo”, Vanity Fair, 22 novembre 2020
Abbiamo incontrato la cantautrice romana, in libreria con la sua prima raccolta di poesie «quasi romantiche», L’Amore è un accollo. «Non smettiamo mai di raccontarci»
«Com’è che te chiami stavolta?
Qual è il tuo nome d’arte?
Marta? Federico? Carlotta?
Vabbè, è inutile che te cerchi un nome
te chiami Amore».
I versi scritti da Giulia Anania corrono rapidi come i sentimenti. Partono dagli occhi, entrano nello stomaco e si fermano a cullarsi sul cuore. E restano lì. Proprio come l’amore, quello che racconta la cantautrice e poetessa romana nella sua prima raccolta di poesie «L’amore è un accollo», pubblicato da Bizzarro Books. Che è impegno, passione, etica. Una costante nella vita di tutti e presente in ogni verso scritto da Giulia Anania.
Quando iniziamo a parlare al telefono, è seduta su una panchina della sua bellissima Roma, pianta e cantata in tante sue opere. È dalla sua lingua che Giulia Anania prende ispirazione per scrivere, quella lingua di strada che parla a tutti, che può ferire e far sognare.
Carlo Verdone, nella prefazione al suo libro, scrive: “Le parole sono la salvezza e la vita per Giulia”. Che effetto le ha fatto leggerle?
«Non conoscevo Carlo Verdone e la sua prefazione è stata un colpo di vita. In questi due anni ho passato una serie di imprese epiche per sopravvivere e durante il lockdown ho finito di scrivere il libro. Quando mi è stato chiesto della prefazione ho risposto che volevo fosse un regalo e il mio sogno sarebbe stato Carlo Verdone».
Il sogno si è realizzato.
«Ci son riuscita grazie alla regista Maruska Albertazzi, mentre scrivevo le musiche per il suo film Hangry Butterflies. Così un pomeriggio di luglio mi è arrivata la telefonata di Carlo Verdone. Abbiamo chiacchierato tantissimo, non mi ha promesso niente e dopo due giorni mi è arrivata la prefazione via mail. Quando l’ho letta sono scoppiata a piangere, per la comprensione che ho trovato nelle sue parole».
In che modo «la parole sono la sua salvezza»?
«Credo che lo siano per tutti. Io penso che il fatto che abbiamo smesso di dirci le cose, i sentimenti, di chiederci come stai, dirci ti voglio bene, è quello che ci sta facendo ammalare in generale. Nella mia vita spesso le parole sono state della armature belle. Qualcosa che mi ha salvato anche dalla mia chiusura, sono scappate e hanno fatto una cosa bella».
Come hai iniziato a scrivere poesie?
«Da quando ero veramente piccola ho sempre scritto poesie. Rimbaud diceva che il poeta muore a 20 anni, per me era il mio modo per uscire dal disagio e comunicare con il mondo. Credo che la poesia debba essere ovunque, per cui ho cercato di portarla nelle canzoni, di farla arrivare a più persone possibile perché credo che sia in grado di spingere le persone a fare grandi gesti, anche solo tornare a riabbracciarsi».
La poesia è anche nei testi che scrive per grandi autori della musica italiana.
«Il lavoro che ho fatto come autrice con tutti gli artisti con cui ho lavorato è stato partire sempre da poesie. La stessa poesia che dà il titolo al libro “L’amore è un accollo” è diventata una canzone che è “Ma dimme te”, ed è la prima canzone che ho scritto in romanesco con Paola Turci».
Come si uniscono la sua anima pop e quella nostalgica?
«Più sono cresciuta a e ho imparato a unirle tutte insieme e fare della debolezza la mia forza. La mia parte poetica è anche la parte popolare, senza gli altri non posso fare niente, così la mia poesia si è unita sempre di più con la canzone. Credo che si possa essere tante vite, tanti lavori insieme, il difetto un po’ di questi anni, è stato dividersi in generi, mentre secondo me la cosa affascinante, quello che deve fare l’artista è comunicare su vari livelli. Questo genera ancora più emozioni e stimola la curiosità».
Perché ha scelto “L’amore è un accollo” come poesia manifesto?
«Con questo titolo sembra che dica che l’amore è qualcosa di brutto. L’accollo invece in romanesco è anche un impegno, anche se sei single come me da tanti anni. Tutto quello che fai d’importante ha bisogno di impegno, etica. Bisogna accollasse l’amore, la nostra passione, per questo vale la pena soffrire per amore».
L’amore grande che racconta nelle sue poesie è anche quello per Roma.
«Roma è un simbolo, nella sua decadenza come nella sua bellezza puoi vedere il mondo. Parto da Roma perché il dialetto romano innanzitutto è un dialetto di strada che viene compreso anche a Milano e Napoli. Tornare a una lingua di strada del proprio territorio ci permette di dire delle cose importanti in un modo che sembra quasi scherzoso ma in realtà non lo è affatto. Roma è composta di una infinità di anime, è un vecchio impero che voglio salvare».
Lei è una lavoratrice dello spettacolo, come sta vivendo questo momento complesso?
«Durante il primo lockdown ho cercato di incoraggiare gli altri. Ho vissuto la sofferenza generale di un settore sterminato dei lavoratori dello spettacolo. Inizialmente ho cercato quindi di innescare una serie di spettacoli dal vivo, quest’estate però ci si è buttati più sul consumismo lasciando soli i teatri e i cinema e per questo mi sono un po’ arrabbiata col pubblico. Adesso cercherò di non regalare streaming perché non penso siano dei buoni veicoli, vorrei avviare una serie di iniziative, come uno sciopero per far sentire la mancanza del nostro operato. Sarebbe utile usare questo periodo per riorganizzarci».