John Reed

Nato a Portland, nell’Oregon, il 22 ottobre del 1887, studia ad Harvard e, dopo la laurea, viaggia in Europa visitando Inghilterra, Francia e Spagna. Al suo ritorno in America si stabilisce a New York, dove inizia a collaborare a vari giornali e, nel 1913, pubblica Sangar, la sua prima raccolta di poesie. Nello stesso periodo entra in contatto con gli Industrial Workers of the World, testimoniando dall’interno la dura condizione dei lavoratori statunitensi e le loro lotte. Un impegno che, nel corso dello sciopero dei setifici di Paterson, nel New Jersey, gli costerà il primo arresto e, conseguentemente, la galera.

Nel 1914 è in Messico come corrispondente del “Metropolitan” e, per quattro mesi, segue l’esercito di Pancho Villa. Un’esperienza a cui è dedicato il volume Messico in fiamme (Insurgent Mexico).

Nell’aprile del 1914, Reed accorre in Colorado subito dopo il massacro di Ludlow (20 aprile), in cui la polizia privata dei proprietari delle miniere (la Rockefeller’s Colorado Fuel and Iron Company) era giunta a mitragliare gli scioperanti, uccidendo uomini, donne e bambini. Subito dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale, parte per l’Europa come corrispondente dei giornali “Metropolitan Magazine” e “The Masses”, scrivendo reportage dai fronti di guerra in Germania, Russia, Serbia, Romania e Bulgaria. Alcuni dei suoi articoli vengono però censurati, in quanto considerati “disfattisti”. Tornato in patria, Reed è oramai uno dei più apprezzati reporter degli Stati Uniti. Scrive articoli e tiene conferenze contro la guerra ed il coinvolgimento degli Stati Uniti. Le sue prese di posizione gli costano l’isolamento degli intellettuali liberali presi oramai dal fervore nazionalistico.

All’inizio del 1917, Reed sposa la giornalista Louise Bryant. Nell’autunno parte con la moglie per Pietrogrado, spinto dall’ansia di osservare da vicino quegli eventi rivoluzionari che avevano portato alla caduta dello zarismo ed alla nascita dei consigli operai (i Soviet). Nell’ottobre egli è quindi testimone degli avvenimenti rivoluzionari: il suo libro I dieci giorni che sconvolsero il mondo (1917) è una delle più diffuse e affascinanti cronache della Rivoluzione russa. Lenin stesso raccomandò la sua lettura “senza riserve agli operai di tutto il mondo”.

Nel 1918 rientra negli USA, dove partecipa alla fondazione del Communist Labor Party, dichiarato immediatamente illegale dalle autorità statunitensi. Lavora per il giornale di sinistra “The Liberator”. L’anno successivo ritorna a Mosca, e partecipa al secondo Congresso dell’Internazionale Comunista e al Congresso dei popoli orientali a Baku. Al ritorno da quel viaggio contrae il tifo. Muore a Mosca il 17 ottobre del 1920 e viene sepolto con tutti gli onori sotto le mura del Cremlino.

«I lavoratori fanno bene a capire che il nemico non è la Germania né il Giappone; il vero nemico è quel 2% degli Stati Uniti che detiene il 60% della ricchezza nazionale, quella banda di “patrioti” senza scrupoli che li ha già derubati di tutto quello che possedevano e che ora progetta di farne dei soldati che custodiscano il loro bottino. Noi diciamo ai lavoratori di prepararsi a difendersi contro questo nemico» (John Reed)

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